Fioccano i ricorsi al Tar contro il comune di Roma e la giunta grillina che ha varato un regolamento per l’esercizio delle attività commerciali ed artigianali nel territorio della città storica.
A ricorrere la Fiesa Confesercenti provinciale di Roma, Associazione maggiormente rappresentativa degli esercizi di vicinato alimentare, l’Alva, Associazione dei laboratori di vicinato alimentare, e decine di operatori che hanno dato mandato agli avvocati di tutelare i propri legittimi interessi, calpestati da un regolamento comunale scritto con i piedi e in aperto spregio della normativa nazionale.
I ricorsi sono maturati a fronte della incapacità della Giunta comunale di correggere per tempo le evidenti storture normative previste nel Regolamento e denunciate nel corso di un’affollatissima assemblea di operatori di vicinato alimentare del centro storico della città tenuta in Confesercenti il mese scorso.
Sulla vicenda era già intervenuta la Fiesa Confesercenti nazionale che aveva segnalato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato le distorsioni concorrenziali in materia di consumo sul posto rispetto agli esercizi di vicinato che il Regolamento del Comune favoriva.
“La materia è già nota all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha detto il Presidente di Fiesa Confesercenti Gianpaolo Angelotti. L’Autorità infatti è intervenuta con un proprio Atto sulle Distorsioni concorrenziali nel settore della vendita di alimenti e bevande con consumo sul posto verso il Ministero dello Sviluppo economico per segnalare distorsioni alla concorrenza derivanti da circolari e Risoluzioni ministeriali ingiustificatamente restrittive rispetto agli esercizi di vicinato, ai quali vengono posti significative limitazioni all’esercizio della propria attività, con particolare riferimento al consumo sul posto. Quelle circolari vanno superate. Sono al di là della legge che pone solo un vincolo a carico degli esercizi commerciali che fanno consumazione sul posto:quello di non servire al tavolo. La verità è che il Ministero non ha vigilato e non ha saputo gestire la norma. Invece di sorvegliare il perimetro legislativo degli operatori ammessi alla possibilità di praticare la consumazione sul posto ha rincorso vincoli inesistenti sugli arredi e altre amenità, mentre il mercato si modificava e l’offerta si differenziava e moltiplicava, rompendo gli argini normativi e le anacronistiche e illegali barriere poste. Ora occorre un operazione di correzione e di coerenza normativa con il mercato. Ancora una volta le imprese intraprendono un percorso innovativo a cui la burocrazia ministeriale e municipale deve dare risposte concrete, se non vuole vedere imporsele dal giudice amministrativo e dall’Antitrust.”
Sullo stesso argomento il Consiglio di Stato ha già suonato un significativo campanello d’allarme per il Campidoglio laddove ha riconosciuto le ragioni di un ricorrente verso Roma Capitale avviando la procedura per l’esame di merito dell’atto amministrativo capitolino.