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Consumo sul posto immediato dei prodotti di gastronomia negli esercizi di vicinato

Superato il principio della non abbinabilità di tavoli e sedute

Unici limiti rimangono la non presenza del servizio assistito di somministrazione e le prescrizioni sanitarie

    Il Consiglio di Stato, con sentenza dello scorso mese di marzo, ha emesso una pronuncia innovativa sul cosiddetto “consumo sul posto”, che supera il principio della “non abbinabilità” di tavoli e sedie, sì che il discrimine tra l’attività di somministrazione di alimenti e bevande e quella di vendita per il consumo sul posto da parte degli esercizi di vicinato rimane unicamente la presenza o meno del servizio assistito.

    Come è noto, l’art. 3, comma 1, lettera f-bis) del DL 4 aprile 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248) stabilisce che le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: il divieto o l’ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.

    L’articolo 4, comma 2-bis, dello stesso decreto consente il consumo sul posto anche ai titolari di impianti di panificazione con le stesse modalità applicative cui devono sottostare i titolari di esercizi di vicinato.

    Infine, ai sensi del comma 8-bis dell’articolo 4 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, anche agli imprenditori agricoli è consentito effettuare “… il consumo immediato dei prodotti oggetto di vendita, utilizzando i locali e gli arredi nella disponibilità dell’imprenditore agricolo, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni generali di carattere igienico-sanitario”.

    Attraverso successive interpretazioni intervenute per circolari e risoluzioni (per tutte si legga risoluzione n. 174884 del 29 settembre 2015), il Ministero dello sviluppo economico ha ritenuto che:

  • tali fattispecie di consumo sul posto non possono essere automaticamente estese alle attività artigianali diverse da quelle dei panificatori, quali gelaterie, pizzeria al taglio, e così via (salvo non svolgano nella stessa sede legittimamente anche attività di vendita al dettaglio quale esercizio di vicinato) in quanto non previste dalla disciplina normativa nazionale di riferimento;
  • nei locali degli esercizi di vicinato, gli arredi richiamati dalla disposizione non possono coincidere con le attrezzature tradizionalmente utilizzate negli esercizi di somministrazione, quali ad esempio le apparecchiature per le bevande alla spina, tavoli e sedie così come macchine industriali per il caffè, né può essere ammesso, in quanto espressamente vietato dalla norma, il servizio assistito.
  • per garantire le condizioni minime di fruizione è stato ritenuto ammissibile solo l’utilizzo di piani di appoggio di dimensioni congrue all’ampiezza ed alla capacità ricettiva del locale nonché la fornitura di stoviglie e posate a perdere;
  • successivamente, con il parere n. 75893 dell’8.5.2013, il MISE ha previsto la possibilità di consentire la presenza di un limitato numero di panchine o altre sedute non abbinabili ad eventuali piani di appoggio, essendo invece tipica di bar e ristoranti la consumazione seduti al tavolo, anche se eventualmente svolta con modalità self-service.

    Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2280, del 21 marzo 2019, riformando la sentenza (n. 02147/2018) con cui il TAR Lazio aveva confermato la determinazione dirigenziale con la quale il Comune di Roma aveva ordinato ad un laboratorio di gastronomia la “cessazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande abusivamente intrapresa”, attenendosi al titolo autorizzatorio posseduto, ha superato le condizioni poste dal MISE alla presenza di arredi, mantenendo l’unico limite dell’assenza del servizio assistito di somministrazione.

     Nel verbale di accertamento, la polizia municipale aveva fatto rilevare che la sala ubicata all’ingresso era arredata con “n. 6 piani di appoggio laterali e n. 1 piano piano di appoggio centrale, con accostati 22 sgabelli, occupando l’intera sala adiacente il laboratorio”. Poiché tale arredo veniva considerato coincidente con le attrezzature tipiche della somministrazione ai fini del consumo dei pasti da parte degli avventori, l’attività ivi svolta veniva considerata come di “somministrazione” e, dunque, priva di titolo (in quanto l’esercizio risultava attivato per laboratorio di gastronomia e non per somministrazione).

    Il titolare dell’esercizio aveva impugnato il successivo provvedimento dirigenziale che ordinava la cessazione dell’attività di somministrazione, ma il TAR adito aveva respinto il ricorso, sul presupposto che il concreto assetto dei luoghi consentisse di desumere la possibilità che ivi si effettuasse servizio ai tavoli (nella specie, “la disposizione delle sedute e la condizione di apparecchiatura dei tavoli lascia evincere, secondo comune esperienza, che l’organizzazione del servizio nel locale è finalizzato alla somministrazione e non si pone in rapporto di strumentalità solo eventuale al mero consumo sul posto”).

    Avverso la decisione l’esercente ha interposto appello al Consiglio di Stato. Con ordinanza dell’ottobre 2018 la V Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare proposta dall’appellante. Infine, all’udienza di merito, il 21 marzo 2019, i giudici del secondo grado hanno accolto i motivi dell’appello.

    In argomento, secondo i giudici, vale il principio, di carattere generale, secondo cui negli esercizi di vicinato, allorché legittimati alla vendita dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare, è ammesso il consumo sul posto di prodotti di gastronomia, purché in assenza del servizio “assistito” di somministrazione.

    Tale espressa e specifica precisazione (ossia, la tipologia “assistita” del servizio) porta ad escludere che il legislatore si sia riferito sic et simpliciter alla fattispecie di cui all’art. 1 della l. 25 agosto 1991, n. 287, a mente del quale “per somministrazione [genericamente intesa- ndr] si intende la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”, dovendosi invece fare riferimento ad un elemento ulteriore, ossia la presenza di un vero e proprio servizio al tavolo – ulteriore e distinto rispetto alla vendita al banco dei prodotti alimentari – offerto dal gestore dell’attività.

    Ad avviso del Consiglio di Stato deve pertanto concludersi – alla luce della testuale previsione normativa – che in assenza di un vero e proprio servizio al tavolo da parte di personale impiegato nel locale, il mero consumo in loco del prodotto acquistato, sia pure servendosi materialmente di suppellettili ed arredi – anche dedicati – presenti nell’esercizio commerciale (ossia, in primis, tavoli e sedie, ma a rigore anche tovaglioli o stoviglie, la cui generale messa a disposizione per un uso autonomo e diretto di per sé non integra un servizio di assistenza al tavolo, ben potendo essere utilizzati anche dagli acquirenti che decidano di non fermarsi nel locale), non comporta un superamento dei limiti di esercizio dell’attività di vicinato.

 

    Del resto, l’art. 3, comma f-bis) del DL 4 aprile 2006, n. 223, inequivocabilmente precisa che l’attività di vicinato può porsi in essere “utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda”, ossia innanzitutto – ed intuibilmente – tavoli e sedie, a prescindere dal fatto che queste siano collegate o meno ai primi.

 

    Non trova quindi fondamento normativo né logico la pretesa, tra l’altro, di precludere l’abbinamento tra arredi, sedie e tavoli, posto da alcune circolari e risoluzioni del Ministero dello sviluppo economico.

     Sulla base di tali premesse, i giudici del secondo grado non hanno condiviso la conclusione cui era giunto il TAR, secondo cui dagli atti di causa emergerebbe “un contesto nel quale la disposizione delle sedute e la condizione di apparecchiatura dei tavoli lascia evincere, secondo comune esperienza, che l’organizzazione del servizio nel locale è finalizzato alla somministrazione e non si pone in rapporto di strumentalità solo eventuale al mero consumo sul posto”.

    Invero, ferma restando, come già detto, l’irrilevanza degli “abbinamenti” tra tavoli e sedie, il Collegio ha ritenuto che la mera presenza, sui primi, di stoviglie e sottopiatti (così come, in ipotesi, di tovaglie o altri accessori atti a preservare l’igiene e la pulizia degli arredi) non fornisca un univoco indice della sussistenza di un servizio al tavolo ad opera del gestore del locale, presupposto ineludibile perché possa esorbitarsi dal contesto del consumo sul posto nell’esercizio di vicinato.

    D’altro canto, la semplice disposizione degli arredi, di per sé neutra ai fini che rilevano, non può definirsi, in quanto tale e di per sé sola, una “componente organizzativa ed aziendale tipicamente destinata alla somministrazione”.

    Le considerazioni sopra esposte erano riscontrabili nella segnalazione S2605 del 27 ottobre 2016 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, avente ad oggetto “Distorsioni concorrenziali nel settore della vendita di alimenti e bevande con consumo sul posto”: richiamate infatti alcune risoluzioni ministeriali presupposte dal provvedimento impugnato, la detta segnalazione evidenzia come “esse incentrano l’elemento distintivo tra l’attività di somministrazione di alimenti e bevande e l’attività di vendita sulla modalità di consumo offerta, in termini di attrezzatura utilizzabile per consentire il consumo sul posto. Tale impostazione, che rievoca i termini impiegati dalla legge n. 287/1991 sulla somministrazione, appare idonea a limitare significativamente l’attività degli esercizi di vicinato non autorizzati alla somministrazione di alimenti e bevande, in assenza di giustificazioni obiettive. A ciò si aggiunga che, oltre a risultare non aderente alle nuove abitudini di consumo e suscettibile di limitare le possibilità di scelta dei consumatori, tale interpretazione crea un’indebita discriminazione fra i vari operatori del settore. Ne deriva un approccio che risulta in palese contrasto nel suo complesso con i principi posti dal legislatore”.

    L’Antitrust aveva già rilevato che “le richiamate Risoluzioni non tengono […] conto del fatto che già il D.L. n. 223/2006 aveva inteso superare o quantomeno coordinare con i principi di concorrenza tutte le attività di consumo sul posto di alimenti e bevande, individuando il discrimen tra l’attività di somministrazione e quella di vendita da parte degli esercizi di vicinato unicamente nella presenza o meno del servizio assistito. Esse, inoltre, non basano l’interpretazione offerta su quanto strettamente necessario a tutelare le esigenze di interesse generale tipizzate dal citato D.L. n. 201/2011, quali la «tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali» […]”.

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