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Divampa la polemica sul consumo sul posto

Confesercenti Roma: gli operatori degli esercizi commerciali e di laboratori di vicinato alimentare pronti a difendere le prerogative che la legge riconosce loro

In preparazione iniziative e manifestazioni

Continua il confronto acceso tra gli operatori e il comune di Roma sul tema del consumo sul posto negli esercizi commerciali e laboratori di vicinato alimentare, al centro di una polemica tra una burocrazia comunale che rischia di bruciare decine di migliaia di posti di lavoro e togliere servizi apprezzati da decine di migliaia di romani e le imprese dell’alimentazione, per lo più start-up e giovani imprenditori. La polemica è passata dalle dichiarazioni alle aule dei tribunali, in seguito a blitz e azioni persecutorie messe in atto dai vigili del 1 municipio di Roma. L’oggetto della discordia sono tavolini e sedie, che i vigili vorrebbero scomodi per i clienti, cioè non abbinati: ad una sedia dovrebbe corrispondere una mensola mentre ad un tavolo dovrebbe corrispondere uno sgabello. Una follia allo stato puro, senza nessun presupposto logico né normativo, come sancito dalla Legge 248 e dal Consiglio di Stato. Nella vicenda si sono inseriti anche chef stellati e la Fipe Confcommercio con tesi e argomenti surreali, confondendo lo street food con gli esercizi di vicinato, la consumazione sul posto con la somministrazione.

“Stupisce- dice Valter Giammaria, Presidente della  Confesercenti di Roma e vice Presidente della Camera di Commercio- che il Vice Presidente nazionale vicario di Confcommercio- Lino Stoppani- in un momento di grave crisi dei consumi, con migliaia di esercizi alimentari che chiudono, non trovi niente di meglio che voler impedire ai negozi alimentari di vicinato (gastronomie, macellerie, frutterie, panetterie e pescherie) di svolgere l’attività di consumazione sul posto prevista e disciplinata dalla L. 248 del 2006. Il tema per noi è di mettere le imprese, tutte le imprese che la nostra Associazione rappresenta, nelle condizioni di lavorare e dare risposte ai consumatori che in questi anni hanno spostato in modo consistente i consumi alimentari fuori casa. Il mercato del sostituto del pasto consumato fuori casa è cresciuto, abbracciando operai ed impiegati, studenti e dirigenti, precari e disoccupati: è evidente che sono target diversi e ognuno può lavorare verso la propria clientela. Chi vuole andare a ristorante non va a prendersi un panino al volo. Ecco perché questa contro gli esercizi commerciali e laboratori di vicinato alimentare ci sembra una battaglia di retroguardia. Il commercio ha altri problemi: i consumi che non partono e anzi si ritraggono, l’eccessiva tassazione sulle imprese, i regolamenti comunali che imbrigliano le attività, soprattutto dei pubblici esercizi. Invece di unirci queste posizioni dividono e indeboliscono le nostre categorie “

“Le nostre attività- aggiunge Stefano Ogis, Presidente di Alva Roma, l’associazione che raggruppa 350 laboratori artigiani con servizio di vicinato alimentare nel centro di Roma- hanno tutte le autorizzazioni amministrative ed igienico sanitarie, sono regolarmente autorizzate e, purtroppo, per una interpretazione arbitraria, contraria alla legge 4 agosto n.248 vivono nel terrore della visita dei vigili del 1 municipio che non vogliono capire che la normativa nazionale- e ora anche la giurisprudenza, ha stabilito che le attività di laboratorio e vendita di alimenti e bevande devono essere svolte senza limiti e prescrizioni ai sensi  delle disposizioni   comunitarie e nazionali. Voglio solo ricordare che la L. 248 del 2006o prevede che negli esercizi di vicinato è consentito il consumo immediato dei prodotti di gastronomia, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda- che decide l’azienda!- osservando le prescrizioni igienico-sanitarie, con la sola esclusione del servizio assistito di somministrazione, ossia del servizio al tavolo con camerieri. Nei nostri esercizi di camerieri non c’è nemmeno l’ombra. Non si capisce perché i vigili del 1° municipio ci perseguitano, nonostante il comune abbia dato indicazioni diverse. Noi serviamo una clientela che preferisce il pasto veloce, che non andrebbe al ristorante. Non capiamo questo appello lanciato dagli chef, mica tutti possono permettersi pasti da 40-50 € in su. Serviamo mondi diversi, la società è cambiata, si vive di più fuori casa…”